Migliaia di pubblicazioni scientifiche e casi clinici peer-reviewed da consultare
Alcuni medici, giuristi e altri professionisti hanno pubblicato ieri 3 novembre, su “Il Fatto Quotidiano”, il seguente appello.
Vaccini ai minori di 12 anni: i bambini non siano “cavie”
Gli Stati Uniti si preparano alla vaccinazione di massa dei bambini dai 5 agli 11 anni a partire dai primi di novembre. Il 29 ottobre la Fda ha autorizzato per “uso emergenziale” il vaccino Pzifer-BioNTech nella fascia d’età citata, facendo seguito al voto espresso il 26 ottobre dal Comitato consultivo della Fda che aveva votato all’unanimità (17 voti favorevoli, 1 astenuto) per l’autorizzazione.
In Italia, i media cavalcano la notizia, dipingendo uno scenario simile a quello statunitense non appena anche l’Ema darà il via libera: una campagna che riguarderà 4 milioni di bambini dalle materne alle elementari.
Tutto ok, dunque? Non proprio, dal momento che la decisione se i benefici delle vaccinazioni superino i rischi per i bambini sani è stata particolarmente difficile per i membri della Commissione, dato il rischio decisamente inferiore di contrarre il Covid-19 in forma grave.
Ci sono state rassicurazioni sul fatto che il monitoraggio della sicurezza per gli effetti collaterali rari, inclusa la miocardite, continuerà dopo l’autorizzazione: la stima dei rischi di miocardite e pericardite per la fascia d’età in oggetto è stata estrapolata da una modellizzazione dei dati disponibili per gli adolescenti, non essendoci a disposizione dati.
Lo scorso agosto uscì sul British Journal of Medicine un articolo dal titolo “Una strategia di vaccinazione di protezione mirata: perché le politiche di vaccinazione per il Covid-19 non dovrebbero essere indirizzate ai bambini”, in cui gli studiosi di Oxford invitavano a limitare la vaccinazione ai soli soggetti vulnerabili. Allo stato attuale delle conoscenze infatti è improbabile che i bambini sani possano beneficiare direttamente della vaccinazione Covid-19 o che la loro vaccinazione di massa possa avere una ricaduta collettiva: ricordiamo che sebbene i vaccini anti Covid-19 forniscano una protezione a medio termine (per quel che si sa, a un anno dall’immissione in commercio) contro la malattia grave e la morte, i loro effetti sulla riduzione della trasmissione del contagio sono parziali.
Stando al mero dato numerico, i rischi di malattia grave o di morte da Sars-Cov2 nei bambini e nei giovani sono minimi. John Ioannidis, uno degli epidemiologi più citati al mondo, in un bell’articolo sui vaccini ai bambini ha mostrato che in Italia e in Europa i decessi per Covid-19 nei minori sono pari a circa 3 per milione, i rischi a lungo termine dei nuovi vaccini anti Covid-19 sui bambini sono invece, al momento, sconosciuti.
Vaccinare i bambini nell’interesse di altre persone? Abbiamo già imposto loro costi molto elevati attraverso restrizioni indiscriminate – dai lockdown alla Dad al distanziamento alle mascherine indossate per lunghe ore a scuola – che ne hanno spesso compromesso il benessere psicofisico e la necessaria socialità in una fase cruciale della loro crescita, in una parola la salute intesa in un’accezione più ampia del termine. Senza contare che usare i bambini come mezzo o anche solo come “un mezzo” è scorretto eticamente e legalmente: l’articolo 3 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nel suo incipit evidenzia che “in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”.
Ricordiamo che, dopo le note vicende legate al criterio anagrafico per la somministrazione di AstraZeneca, recentemente Finlandia, Svezia e Danimarca hanno sospeso l’uso del vaccino Moderna per i giovani. In Svezia, l’agenzia di salute pubblica ne ha sospeso l’uso nelle persone sotto i 30 anni d’età perché ci sono segnali di accresciuto rischio di effetti collaterali (come infiammazione del muscolo cardiaco o del pericardio), in Danimarca nelle persone al di sotto dei 18 anni e in Finlandia nei maschi sotto i 30 anni. Queste modifiche nei protocolli sono avvenute perché gli eventi avversi seri sono rari e possono essere stimati solo con campioni molto ampi. Sono quindi necessari altri studi, possibilmente con campioni di grandi dimensioni nonché un lungo follow-up per avere una stima precisa dei rischi in tutte le fasce d’età e per sesso (con la farmacovigilanza è infatti difficile avere dati certi nel breve periodo). Ci domandiamo e ridomandiamo: che conseguenze nefaste potrebbe avere un ipotetico errore di questo genere su un’intera popolazione in età pediatrica?
Elena Flati, biologa/farmacista; Sara Gandini, epidemiologa/biostatistica; Daniele Novara, pedagogista; Maurizio Matteoli, pediatra; Elena Dragagna, avvocato; Maurizio Rainisio, statistico; Emilio Mordini, psicoanalista; Gilda Ripamonti, giurista; Clementina Sasso, astrofisica; Francesca Capelli, sociologa