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Pubblicato sul sito della Corte Costituzionale il Ruolo delle Cause in Camera di Consiglio che verranno trattate la prossima settimana. Mercoledì 6 aprile la Corte esaminerà ben 5 ordinanze in due distinti procedimenti (numeri di ruolo 3 e 4) che evidenziano gravi profili di incostituzionalità dei decreti in materia di “emergenza sanitaria” a causa del covid-19.
La prima ordinanza è la numero 57 del Giudice di Pace di Macerata che, tra l’altro, segnala il carattere autoritario e illegittimo dei decreti: “Appare opportuno evidenziare che, sin dagli albori della cosiddetta «pandemia» Autorevoli Personalità del diritto quali il Chiar.mo prof. Antonio Baldassarre – Presidente Emerito della Corte costituzionale – che il Chiar.mo prof. Sabino Cassese hanno espresso le loro perplessità in ordine alla validità degli atti e delle normazioni pullulanti in maniera caotica ed irrazionale, tuttora operanti ed in fieri nella diffusività di produzione di atti e norme di variegata valenza in relazione al principio della gerarchia delle fonti. I decreti del Presidente del Consiglio dei ministri appaiono essere strumenti incostituzionali, posto che detti provvedimenti non hanno la potestas di limitare la libertà dei singoli cittadini ne’ imporre prescrizioni se non in via adesiva da parte dei destinatari. Se poi si considera che il decreto Covid del 26 aprile si esprimeva riguardo ai parenti arrivando poi a considerare anche i «fidanzati» in via consolidata, aspetti che presentano discriminazioni per legami e rapporti affettivi distinti dalla famiglia ontologicamente intesa, lascia emergere come si sia attuata una deriva tendenzialmente autoritaria (e non autorevole sic!), fino a registrare espressioni preoccupanti come «noi consentiamo», «noi permettiamo» in spregio al rispetto dei dettami costituzionali. Ancora, le contraddizioni sono tali da consentire a pluralità di persone a recarsi nei supermercati sia pure con il distanziamento sociale ma non si è compreso perchè ciò sia stato limitato (per un tempo) per l’accesso nelle Chiese, dimenticando che la persona ha sia necessità fisiche ma anche spirituali. A ciò si aggiunga l’esigenza anche di garanzia del dovere di solidarietà ed i decreti appaiono avere approfittato della congiuntura – grave – con disposizioni costituzionalmente di dubbia legittimità. Si tenga poi, conto del contagio e trasmissibilità connesso all’uso della moneta che non vede alcuna disciplina al riguardo”.
Inoltre, nella stessa ordinanza il Giudice si sofferma sul pressing mediatico e sulla mancata corretta informazione: “Il pressing mediatico e la mancata corretta informazione hanno certamente contribuito alla dipendenza mentale ed al diritto di libera valutazione e cognizione. I principi di proporzionalità ed adeguatezza. Principio fondamentale dell’attività amministrativa è il principio di adeguatezza. Adeguatezza significa capacità di un determinato livello di governo di occuparsi dei problemi di volta in volta sottesi alle competenze di cui trattasi. Altro principio fondamentale è, poi, quello di proporzionalità, oggi affermato nell’art. 5 del Trattato UE, unitamente al principio di sussidiarietà. Tale principio vale tanto per il legislatore quanto per la pubblica amministrazione, laddove essa debba esercitare un potere discrezionale bilanciando interessi. In applicazione del principio in esame, dunque, dovrebbe essere impedito che siano adottate misure di protezione eccessivamente e ingiustificatamente invasive e restrittive delle libertà dei singoli e, nelle ipotesi di compressione di libertà economiche, anche discriminatorie e distorsive della concorrenza. A tale proposito non si può sottacere il danno subito dall’Italia com’è evidente e nei fatti, di rilevante disagio delle persone e delle famiglie. Particolarmente in ragione delle stringenti possibilità di accesso al credito, a chi si trova in condizione di bisogno, determinandosi la fattività di aiuti finanziari a chi ha già rispetto a chi invece non ha e si trova pressocchè nell’indigenza. Ciò in violazione all’art. 3, comma 2 della Costituzione. Va poi soggiunto che un’applicazione o, se si vuole, un corollario importante del principio di proporzionalità si rintraccia nel principio di gradualità. Le due dinamiche, quella della sussidiarietà e quella dell’adeguatezza, sono destinate a funzionare in sinergia. Infine, il principio di sussidiarietà riguarda le relazioni organizzative tra amministrazioni al fine di assicurare una corretta attribuzione di funzioni. Bilanciamento tra il principio di precauzione e il principio di proporzionalità. Posto che le misure precauzionali non sono basate su certezze assolute ma comportano un sacrificio spesso molto elevato di altri valori, occorre che esse siano adottate attraverso il bilanciamento del principio di precauzione con il principio della proporzionalità. In questo modo le misure non risultano eccessivamente onerose e vi è una proporzione tra il grado di probabilità dei rischi e di gravità dei danni temuti e il grado di incisività delle medesime misure sulle libertà antagoniste. Bisogna, insomma, evitare che l’applicazione del principio di precauzione possa risolversi nell’adozione di blocchi generalizzati – come avvenuto – di attività di ogni tipo, non fondati su adeguati riscontri scientifici, poiché tale situazione sarebbe, invero, posta in violazione del medesimo principio”.
Anche le ordinanze numero 156, numero 157 e numero 158 del Giudice di Pace di Fano evidenziano gravi illegittimità costituzionali dei decreti covid a partire dal delibera del Consiglio dei Ministri sullo “stato di emergenza” del 31 gennaio 2020.
Si legge, infatti, nelle ordinanze: “Osserva questo Giudice che le eccezioni svolte dalla ricorrente nell’ambito dell’opposizione all’ordinanza di che trattasi meritino il vaglio della Corte costituzionale poichè tali eccezioni attengono a questioni relative al dubbio di legittimità costituzionale di posizioni normative.
– 1. La prima inerisce alla delibera dello stato di emergenza del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 in quanto alcuna norma primaria o avente efficacia di legge ordinaria attribuisce al Consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario. L’art. 7, comma 1, lettera c), decreto legislativo n. 1/2018 è compreso nel codice della protezione civile e riguarda i casi in cui la protezione civile è titolata ad intervenire in casi di calamità od urgenza e non è quindi comparabile con la dichiarazione dello stato di emergenza previsto dalla Carta costituzionale. La Costituzione italiana non prevede disposizioni in merito all’emergenza sanitaria: pertanto lo stato di emergenza sanitaria è stato deliberato in forza della legge n. 225/1992 sulla Protezione civile dal solo Presidente del Consiglio dei ministri, senza il coinvolgimento nella decisione del Parlamento nonostante siano state derogate libertà fondamentali, coperte da riserva di legge. L’art. 78 della Costituzione prevede lo stato di guerra: sancisce che il Parlamento decide lo stato di guerra conferendo al Governo i poteri necessari cioè strettamente proporzionati all’evento da fronteggiare. Si sarebbe potuto utilizzare questo modello uniformando lo stato di guerra a quello di emergenza sanitaria: di tal guisa il Governo non sarebbe stato libero di emanare atti di fonte secondaria, i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, legittimati da fonti primarie, i decreti-legge ex art. 77 della Costituzione, sono stati conferiti in tal modo poteri di amplissima discrezionalità al solo Presidente del Consiglio. Per quanto riguarda le limitazioni ai diritti fondamentali, si osserva come solo la legge può derogare a diritti costituzionalmente garantiti, affinchè la decisione restrittiva sia presa dai rappresentanti dei cittadini. Nel caso quindi di illegittimità della dichiarazione dello stato di emergenza per motivi di ordine sanitario debbono ritenersi illegittimi tutti i provvedimenti successivi adottati dal Governo che debbono essere dichiarati privi di efficacia ex tunc.
– 2. Eccepisce poi l’illegittimità del cosiddetto lockdown e cioè della imposizione di un obbligo di permanenza domiciliare che costituisce a tutti gli effetti una restrizione della libertà personale vietata dalla Costituzione; si assume violato quindi l’art. 13 della Carta costituzione che prevede infatti come la libertà personale sia inviolabile e quindi non può ammettersi alcuna restrizione personale se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria.
– 3. Eccepisce inoltre il mancato rispetto dell’art. 16 della Costituzione in quanto le limitazioni previste dallo stesso, pur riguardando motivi di sanità o di sicurezza, non possono consentire il divieto di libera circolazione e soggiorno in tutto il territorio nazionale, ma solamente in luoghi particolari in cui vi è rischio per la sanità pubblica.
– 4. Deve inoltre ravvisarsi nella fattispecie in esame la violazione dell’art. 2 della Costituzione essendo violato il diritto alla libertà dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità.
– 5. Deve ravvisarsi la violazione dell’art. 4 della Costituzione in quanto le norme adottate violano il diritto al lavoro impedendo di fatto al soggetto di espletare la propria attività lavorativa costringendolo nelle proprie abitazioni.
Tutte queste questioni appaiono rilevanti ai fini della decisione del presente Giudizio o non manifestamente infondate; appare quindi che per le disposizioni normative sopra indicate vi sia dubbio di legittimità costituzionale in quanto violate le disposizioni della Costituzione sopra indicate; articoli 2, 4, 13, 16, 77 e 78″.
Infine l’ordinanza numero 141 del Tribunale di Reggio Calabria sottolinea l’illegittimità costituzionale della misura della quarantena.
In particolare, la sezione penale solleva, in riferimento all’articolo 13 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 6, e 2, comma 3, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 (Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID 19), convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2020, n. 74. L’art. 1, comma 6, stabilisce che è fatto divieto di mobilità dalla propria abitazione o dimora alle persone sottoposte alla misura della quarantena per provvedimento dell’autorità sanitaria in quanto risultate positive al virus COVID-19, fino all’accertamento della guarigione o al ricovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata; il censurato art. 2, comma 3, prevede che la violazione della misura di cui all’art. 1, comma 6, è punita ai sensi dell’art. 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, salvo che il fatto costituisca violazione dell’art. 452 cod. pen. o comunque più grave reato.
Il giudice rimettente denuncia la lesione della riserva di giurisdizione in materia di libertà personale prevista dall’art. 13 della Costituzione, ritenendo che la quarantena obbligatoria in questione attenga alla libertà personale e non alla libertà di circolazione, tutelata dall’articolo 16 della Costituzione. Al riguardo, osserva il Giudice, l’articolo 1, comma 6, del decreto-legge n. 33 del 2020, infatti, non imporrebbe un divieto di recarsi in determinati luoghi ma un divieto di muoversi a determinati soggetti.
Ad avviso del Tribunale di Reggio Calabria il divieto di mobilità dalla propria abitazione o dimora in questione avrebbe un contenuto assolutamente identico a quello della misura cautelare degli arresti domiciliari, imposta ai sensi dell’articolo 284 del codice di procedura penale, e della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, anzi, il regime denunciato sarebbe anche più restrittivo, non essendo nemmeno prevista un’autorizzazione ad allontanarsi provvisoriamente per provvedere alle indispensabili esigenze di vita. Tuttavia, evidenzia ancora il Tribunale, le due misure poste a confronto vengono stabilite dal Giudice mentre la misura denunciata è stabilita dall’autorità sanitaria, nonostante comporti, al pari delle altre due misure, la privazione o quantomeno la limitazione della libertà personale del soggetto che vi è sottoposto.
L’articolo 13 della Costituzione che tutela la libertà personale imporrebbe, conclude l’ordinanza, che anche il provvedimento di adozione del divieto in questione, comportando una restrizione della libertà personale, debba essere adottato o soggetto a convalida da parte dell’autorità giudiziaria.