• Aprile 25, 2024

Doppia pronuncia a favore degli operatori sanitari non vaccinati sospesi. In caso di congedo, l’azienda sanitaria è condannata alle spese giudiziarie e all’indennità arretrate

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Oggi, martedì 4 gennaio, il quotidiano “Il Giorno” riporta la notizia “Sospesa infermiera non vaccinata. Il Tribunale ripristina l’aspettativa. Accolto il ricorso contro lo stop: rapporto di lavoro già sospeso. L’ospedale dovrà versare tutte le indennità arretrate”.

Un’infermiera di un ospedale milanese, in servizio da trent’anni, quattro mesi fa è stata sospesa dalla sua Asst perché non vaccinata, appena otto giorni dopo aver ottenuto dall’Inps un periodo di due anni di aspettativa retribuita per assistere un parente, riconosciuta dal “congedo straordinario” ai sensi della legge n.151 del 2001 che tutela le situazioni di gravità previste dall’articolo 3 comma 3 legge n.104 del 1992.

Ora il Tribunale del Lavoro ha dichiarato illegittimo il provvedimento e condannato l’Azienda sociosanitaria territoriale a versare alla donna le indennità non percepite in questo periodo.

Secondo quanto ricostruito nella sentenza del giudice Eleonora Maria Velia Porcelli, il 6 settembre 2021 l’infermiera è andata in aspettativa biennale, come previsto dalla legge 104 del 1992. Successivamente, il 14 settembre, la donna ha ricevuto dall’Ats la “comunicazione dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale”

Lo stesso giorno, la sua Asst di riferimento le ha notificato la sospensione del “diritto di svolgere mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano il rischio di diffusione del contagio Sars-Cov-2, avendo verificato che le mansioni a cui era adibita presentano il rischio di diffusione del contagio e avendo constatato l’impossibilità di assegnarla a mansioni diverse”, negandole, così, iente aspettativa e indennità. A quel punto, l’infermiera, assistita dall’avvocato Barbara Legnani, ha presentato ricorso al Tribunale del Lavoro, sostenendo che il decreto legge 44 del 2021 sull’obbligo di vaccino per gli operatori sanitari “ricollega la sospensione del compenso alla sospensione della prestazione lavorativa” e che “il lavoratore non viene sospeso dal diritto a lavorare e non può essere privato dei diritti previdenziali”. Dal canto suo, l’Asst ha risposto di “aver operato conformemente alle disposizioni di legge”, di essere stata “mera esecutrice di accertamenti operati da Ats” e di non essere in grado di applicare “discrezionalismi o trattamenti ad personam”. Ed ecco il verdetto.

Il giudice ha affermato chiaramente l’illegittimità della condotta dell’Azienda sanitaria locale.

Si legge nel provvedimento “i soggetti tenuti a sottoporsi a vaccinazione sono individuati non solo sulla base della professione esercitata, ma anche sulla base dello svolgimento di attività presso determinate strutture”. Di conseguenza, “appare evidente che la sospensione presuppone, al momento della sua adozione, lo svolgimento in concreto delle prestazioni professionali da parte del soggetto che astrattamente rientra tra i soggetti destinatari dell’obbligo di vaccinazione”. Al contrario, la sospensione non retribuita è illegittima se si sovrappone a un rapporto di lavoro “già sospeso” per via dell’aspettativa. Il provvedimento di sospensione, quindi, è stato annullato e condannata l’Asst a pagare le mensilità di indennità dal 14 settembre in avanti e 1.500 euro di spese di lite.

Nei giorni scorsi, un altro procedimento dinanzi al Tribunale di Milano Sezione Lavoro (Ruolo Generale n.9071/2021), avente ad oggetto un reclamo al Collegio in via di urgenza ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile, si è concluso con ordinanza di accoglimento totale datata 21 dicembre e pubblicata il 30 dicembre.

In questo caso il ricorso era stato rigettato in fase cautelare ma è stato accolto totalmente in fase di reclamo.

Il provvedimento di sospensione per mancato adempimento al d.l. 44, in costanza di congedo retribuito, è stato ritenuto illegittimo e l’Azienda sanitaria locale milanese è stata condannata a ben 5.500 euro di spese di lite (2.500 euro per la fase cautelare e 3.000 euro per la fase di reclamo).

Si legge nel provvedimento:

Venendo al merito del reclamo, lo stesso appare fondato sotto il profilo del fumus boni iuris, rilevandosi un duplice profilo di illegittimità del provvedimento di sospensione dal lavoro della , adottato da xxxx in data 17/9/2021.

Tale provvedimento risulta, difatti, assunto in costanza di regime di sospensione della lavoratrice, risultando beneficiaria di congedo retribuito per assistenza di genitore in situazione di gravità, con decorrenza 1/6/2021 sino al 29/7/2022.

Ciò comporta, ad opinione del Collegio, una violazione dell’art.4 comma 1 d.l. n. 44/2021, che, nella sua formulazione letterale, risulta riferire l’obbligo vaccinale introdotto dalla normativa ai professionisti sanitari che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali costituendo la vaccinazione requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative, non potendosi interpretare tali locuzioni in senso diverso dallo stabilire una correlazione tra obbligo vaccinale, attuale e concreto esercizio della professione e svolgimento della prestazione lavorativa, incompatibile con il regime di sospensione della prestazione, da qualunque causa esso discenda (congedo per maternità o per assistenza genitoriale, malattia etc.).

Del resto, come già osservato da questo Tribunale (ord. 15/11/2021), le finalità della normativa dedotta a base del provvedimento di sospensione della lavoratrice, cui è conseguita la cessazione dell’erogazione della prestazione indennitaria, è in evidenza quella di impedire il contatto tra operatori socio sanitari sprovvisti di copertura vaccinale e, quindi, assunti quali potenziali maggior veicolo di diffusione del contagio, ed i soggetti fragili normalmente ospitati nelle strutture socio sanitarie, statisticamente più soggetti a gravi o fatali conseguenze per la salute nel caso di contrazione di malattia da SARS-COV2. Ciò appare evidente dalla stessa enunciazione delle finalità della legge, id est “tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni”. In questa prospettiva appare di solare evidenza l’inettitudine, in capo ad una lavoratrice in continuativo regime di sospensione della prestazione lavorativa, alla creazione di alcun rischio per la salute e le condizioni di sicurezza sul luogo di lavoro in caso di mancata sottoposizione al ciclo vaccinale, quantomeno per il periodo di perduranza della sospensione della prestazione.

Del tutto irrilevante appare, in questa prospettiva, la dedotta circostanza che il regime di sospensione della prestazione lavorativa fissato per il periodo dal 1/6/2021 al 29/7/2022, risulti revocabile anteriormente alla scadenza, ben potendosi attivare, dalla data di cessazione del congedo, il procedimento previsto dallart 4 comma 1 d.l. 44/2021, funzionale ad assicurare l’ottemperanza dell’operatore socio sanitario in servizio all’obbligo vaccinale, subordinatamente al rispetto dei passaggi procedurali contemplati dalla normativa.

Il censurato provvedimento di sospensione appare, per altro, illegittimo anche sotto tale profilo.

La normativa disciplinante le “misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici” introdotta con d.l. 44/2021, convertito in l. 76/2021, stabilisce, nelle enunciazioni generali di principio (articolo 4 comma 1) che, “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio- assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati.

Solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, la vaccinazione di cui al comma 1 non è obbligatoria e può essere omessa o differita (comma 2).

L’iter procedimentale , nella declinazione originaria, ratione temporis applicabile alla fattispecie, è disciplinato dall’art.4 e ss. e prevedeva, per quanto qui di interesse, la trasmissione, da parte dei datori di lavoro degli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, dell’elenco dei propri dipendenti con qualifica ed indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla regione o alla provincia autonoma nel cui territorio operano i medesimi dipendenti; la verifica dello stato vaccinale da parte di regioni e province autonome per il tramite dei servizi informativi vaccinali; la segnalazione all’ATS dei nominativi dei soggetti che non risultano vaccinati; l’invito di ATS a presentare documentazione comprovante l’insussistenza dei presupposti per l’assolvimento dell’obbligo vaccinale e, alla scadenza del termine, l’invito all’interessato a sottoporsi alla somministrazione del vaccino, con indicazione dei termini e modalità entro i quali adempiere.

Una volta decorsi i termini per l’attestazione dell’adempimento dell’obbligo vaccinale, l’ATS competente accerta l’inosservanza dello stesso, dandone immediata comunicazione scritta all’interessato ed al datore di lavoro. L’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’ATS determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. Ricevuta tale comunicazione, il datore di lavoro era tenuto, laddove possibile, ad adibire il lavoratore a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non era possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non erano dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato.

Risulta, in evidenza, come la procedura introdotta dal d.l. 44/2001 non sia stata rispettata nei confronti di XX .

Nella stessa ordinanza oggetto di reclamo viene, difatti, riconosciuta la circostanza che, nel caso dell’odierna ricorrente, siano stati omessi gli obblighi informativi previsti dallart. 4 comma 5 d.l. cit. (invito all’interessato, effettuato dall’ATS, a produrre la documentazione comprovante l’effettuazione della vaccinazione, l’omissione o il differimento della stessa ai sensi del comma 2, la presentazione della richiesta di vaccinazione o l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale, ricorrendo una fattispecie di esenzione, con successivo formale invito allinteressato a sottoporsi alla somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2).

Diversamente da quanto opinato in prime cure, ritiene il Collegio come il vizio procedurale in questione non possa che ridondare in illegittimità del provvedimento di sospensione assunto, indipendentemente dall’esistenza di una espressa previsione di chiusura che annetta tale sanzione all’inosservanza delle scansioni procedurali.

La peculiare procedimentalizzazione dell’iter deputato a garantire l’ottemperanza all’obbligo vaccinale è, difatti, fondamentale presidio di garanzia in favore del lavoratore che, in tale specifico ambito, ha facoltà di comprovare la sussistenza di fattispecie di esonero dall’obbligo vaccinale e, anteriormente alla modifica, operata dall’articolo 1 comma 1 lett. b) d.l. 172/2021, in attesa di conversione, poteva beneficiare dell’eventuale esperimento dell’onere di repechage da parte del datore di lavoro, al fine di contemperare la tutela della salute pubblica (art. 32 cost.) e la sicurezza sul luogo di lavoro con il fondamentale diritto al lavoro ed alla retribuzione (art. 36 cost.).

***

Ciò detto con riferimento al fumus boni iuris, ritiene infine, il Collegio, la concorrente sussistenza, nel caso di specie, dell’estremo del periculum in mora.

Consta che alla reclamante, beneficiaria di congedo retribuito per assistenza al genitore in situazione di gravità, sia stata omessa l’erogazione della retribuzione a decorrere dall’adozione del provvedimento di sospensione in questa sede censurato.

Premesso che, secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., sez. lav., 2/9/1997, n. 8373) il regime di inammissibilità della tutela cautelare d’urgenza, ordinariamente riconosciuto per i crediti pecuniari, trova eccezione nel caso di crediti di lavoro, nella misura in cui i proventi dell’attività lavorativa siano necessari ad assicurare il bene dell’esistenza libera e dignitosa, presidiato dall’art. 36 cost., potendo derivare dal loro ritardato soddisfacimento un pregiudizio non riparabile altrimenti, evenienza ricorrente nel caso di specie, risultando la coniugata e madre di xxx ed avendosi evidenza dello stato di disoccupazione del coniuge della stessa, il particolare regime lavorativo, all’atto del provvedimento di sospensione, informa l’assunto del pericolo di pregiudizio grave ed irreparabile di ulteriori e decisivi elementi.

Le finalità che si appuntano in capo alla retribuzione per congedo assistenziale, la cui erogazione risulta indebitamente negata alla xxxx, per il periodo di sospensione conseguente al provvedimento di ATS, esorbitano, difatti, la sfera economico patrimoniale per impingere aspetti attinenti la sfera della personalità della lavoratrice, ed in particolare gli aspetti di cura ed assistenza endofamiliare, prioritariamente tutelati dall’istituto del congedo retribuito, di cui la xxxx risultava beneficiaria.

Per quanto sopra esposto ed illustrato il reclamo merita accoglimento con la conseguenza che, in riforma dell’ordinanza ex art. 700 c.p.c. pronunciata in data 27/10/2021, disapplicato il provvedimento di sospensione dal lavoro prot. n. xxxxx, andrà ordinata l’immediata riammissione di in servizio, ai soli fini della fruizione del congedo retribuito per assistenza di genitore in condizioni di gravità, e la corresponsione delle retribuzioni non corrisposte dalla data di sospensione alla data del provvedimento, maggiorate di interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo. All’accoglimento del reclamo consegue la regolamentazione delle spese di lite della fase cautelare e del presente reclamo secondo soccombenza, come da liquidazione analitica in dispositivo.

P .Q.M.

Accoglie il reclamo proposto da xxxxx

ordina l’immediata riammissione in servizio, ai soli fini della fruizione del congedo retribuito per assistenza di genitore in condizioni di gravità, e la corresponsione, in favore della lavoratrice, delle retribuzioni non corrisposte dalla data di sospensione alla data del presente provvedimento, maggiorate di interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo;

condanna le reclamate, in solido tra loro, al pagamento, in favore della reclamante, delle spese di lite della fase cautelare e del presente reclamo, che liquida in euro 2.500 per la fase cautelare ed euro 3.000,00 per la fase di reclamo, oltre accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario.

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